Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in  persona  del  Presidente
 della  giunta  regionale  pro-tempore,  autorizzato con deliberazione
 della Giunta regionale n. 4052 del 31 agosto  1993,  rappresentata  e
 difesa,  come  da mandato a rogito del notaio Lucia Anna Maria Maffeo
 di Bologna del 31 agosto 1993, rep. n. 69603, dall'avv.  Giandomenico
 Falcon  di  Padova  e  dall'avv.  Luigi  Manzi di Roma, con domicilio
 eletto in Roma nello studio del secondo, via Confalonieri  5,  contro
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 30 giugno 1993,
 n.  270,  recante  "Riordinamento  degli   istituti   zooprofilattici
 sperimentali,  a  norma  dell'art.  1, primo comma, lettera h), della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421", pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale
 n. 180, suppl. ord., del 3 agosto 1993, e precisamente delle seguenti
 disposizioni:
      art. 1, primo, quarto e quinto comma;
      art. 2, primo e secondo comma;
      art. 3, secondo, terzo, quarto e sesto comma;
      art. 5, primo comma;
      art. 6, primo comma, lett. a);
      art. 10, primo comma.
    Per contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 119 della Costituzione,
 nei limiti e sensi chiariti nell'esposizione dei motivi.
                              M O T I V I
    Come  si evince dallo stesso titolo del decreto impugnato, esso e'
 stato emanato in attuazione dell'art. 1,  primo  comma,  lettera  h),
 della  legge  23  ottobre  1992,  n. 421: secondo il quale il Governo
 avrebbe dovuto emanare "per rendere piene ed  effettive  le  funzioni
 che  vengono  trasferite  alle  regioni",  norme  per  la riforma del
 Ministero della sanita', e secondo il quale le stesse norme avrebbero
 dovuto  comprendere,  fra  l'altro,  il  "riordino"  degli   Istituti
 zooprofilattici.
    Si notera' che quello citato tra virgolette e' il solo principio o
 criterio  direttivo  dato  al  Governo  per  l'esercizio  del  potere
 delegato. E' dunque assolutamente escluso che il  Governo  avesse  in
 questa  occasione  una discrezionalita' o un margine di liberta', nel
 senso  di  diminuire   -   anziche'   aumentare   -   il   grado   di
 "regionalizzazione" delle istituzioni sanitarie.
    Per  quanto  riguarda in particolare gli istituti zooprofilattici,
 l'attuazione dell'assetto costituzionale e  la  determinazione  delle
 funzioni rispettive delle regioni e dello Stato e' stato fissato, sin
 dai  primi  anni  della  riforma  regionale, con la legge 23 dicembre
 1975, n. 745.
    Ora, essendo tale legge anteriore rispetto alla legge  di  riforma
 sanitaria,  n.  833/1978,  ed  a  tutte  le  successive riforme della
 stessa, ben poteva essere sentito il bisogno  di  un  "riordino"  che
 adeguasse  e migliorasse, alla luce di oltre 17 anni di esperienza, i
 principi  normativi  in  materia,  eliminando  eventuali  carenze   o
 incongruenze.
    Ma  altrettanto chiaro e' che cio' non doveva porre in discussione
 la regionalizzazione delle funzioni, ne' meno ancora portare  ad  una
 maggiore  ingerenza  dello  Stato  nella vita e nella attivita' degli
 Istituti.
    Non solo infatti nella legge di delega manca - come e' ovvio -  un
 indirizzo  in tal senso, ma l'unico indirizzo e' in senso recisamente
 opposto.
    Senonche',  il  legislatore  delegato  ha  fatto  esattamente   il
 contrario  di  quanto  indicato  nella  legge  di delega, ed anziche'
 ispirare la normativa al criterio di "rendere piene ed effettive"  le
 funzioni  regionali,  ha mirato a "reinserire" gli Istituti stessi in
 un quadro di riferimento statale, irrazionalmente ed illegittimamente
 esautorando e comprimendo competenze regionali gia' stabilite.
    La complessiva violazione dei principi in materia e' gia' evidente
 nell'inquadramento generale che l'art. 1, primo  comma,  del  decreto
 impugnato  assegna agli istituti quali "strumenti tecnico-scientifici
 dello Stato, delle regioni e delle privince autonome, per le  materie
 di rispettiva competenza".
    E'  evidente,  infatti,  che definire gli istituti quale obiettiva
 struttura di servizio per l'attivita' di enti  diversi  e'  cosa  ben
 diversa  rispetto  alla  "ristrutturazione  regionalizzata"  di  tali
 istituti disposta a suo tempo dalla legge n. 745/1975.
    Ma non meno evidente e' l'assoluta  illegittimita'  costituzionale
 di  una  normativa  delegata  che,  in assenza di indicazioni in tale
 senso  nella  delega,  e  in  aperto  contrasto  con  le  indicazioni
 stabilite,  travolga l'assetto stesso e la collocazione istituzionale
 degli Istituti.
    Un tale mutamento non puo' certo essere  sottinteso  nel  generico
 concetto di "riordino" degli Istituti stessi.
    Ugualmente,  non  era certo previsto nella delega al "riordino" la
 attribuzione  al   Ministro   della   sanita'   di   nuove   funzioni
 amministrative,  con  il  pretesto che esse si riferiscano al settore
 zooprofilattico. Qui la violazione della  delega  e',  se  possibile,
 ancora  piu'  netta.  Infatti  e' del tutto chiaro che il legislatore
 delegante non ha voluto l'attribuzione di nuovi compiti al  Ministro,
 ma  soltanto  il  "rimanere"  (secondo  la testuale espressione della
 legge) in capo ad esso di talune delle  funzioni  gia'  spettantegli:
 coerentemente,  d'altronde,  con l'intenzione generale gia' ricordata
 di "rendere piene ed effettive le  funzioni  che  vengono  trasferite
 alle regioni".
   Ne  deriva  la  piena  illegittimita'  costituzionale  di  tutte le
 funzioni assegnate al Ministro dall'art. 2, secondo comma, lettere da
 a) ad l) del decreto n. 270,  in  quanto  esse  non  siano  meramente
 riproduttive  di  funzioni  gia' spettanti al Ministro; dei poteri di
 nomina di un componente del consiglio  di  amministrazione  e  di  un
 revisore dei conti, previsti dall'art. 3, secondo e quarto comma; del
 potere  di  stabilire  "prestazioni  a  pagamento"  e "criteri per la
 determinazione, da parte delle regioni, delle tariffe" (cose che,  in
 quanto  occorrano,  devono  semmai  essere  ricondotte  alla funzione
 governativa di indirizzo e coordinamento, e non  gia'  al  Ministro);
 del  "potere  di indirizzo e coordinamento" attribuito incongruamente
 al ministro in materia di requisiti minimi strutturali e tecnologici,
 nonche' di criteri organizzativi uniformi.
    Del  tutto illogico ed incongruo, ed elusivo della delega, sarebbe
 infatti limitare le funzioni ministeriali, come la delega  prescrive,
 nel  decreto  relativo  al  Ministero  della sanita', per crearne una
 pletora di nuove in altri decreti, emanati sulla  base  della  stessa
 delegazione legislativa|
    Il  potere  ministeriale  di  indirizzo  e  coordinamento previsto
 dall'art. 2, primo comma, e' illegittimo anche per motivi propri alle
 regole concernenti tale funzione.
    Ci si riferisce da una parte ai noti  principi  sulla  titolarita'
 collegiale  del  Governo  di  tale  funzione,  quando  essa  non  sia
 esercitata  direttamente  dal  legislatore,   principi   piu'   volte
 confermati  dal legislatore, ed in termini generali nell'art. 2 della
 legge n. 400/1988: ed e' chiaro che la violazione di una regola tanto
 fondamentale del sistema, anche se potesse mai  essere  giustificata,
 abbisognerebbe  di  apposito  fondamento  nella delega. Ma il decreto
 impugnato non solo viola le regole sulla titolarita'  della  funzione
 di  indirizzo,  ma  altresi' quelle sul suo esercizio, in particolare
 non offrendo quella disciplina sostanziale che delimiti  ed  inquadri
 l'esercizio  del  potere, la cui necessita' cogente e' stata ribadita
 anche di recente nella giurisprudenza  costituzionale  (puntualmente,
 ad esemnpio, la sentenza n. 355/1993).
    Non  meno  illegittima  appare  la  sostanziale  sottrazione  alle
 regioni della  potesta'  legislativa  in  materia  di  organizzazione
 istituzionale    degli    istituti.    Tale    sottrazione   avviene,
 nell'impugnato decreto, sia attraverso l'art.  10,  primo  comma,  in
 quanto esso abroga l'art. 1, secondo comma, della l. n. 745/1975, che
 tale  potesta'  riconosceva,  sia  attraverso  la positiva disciplina
 stabilita dall'art. 3,  secondo  comma,  che  minutamente  disciplina
 l'organizzazione  dell'ente,  non  solo individuandone gli organi, ma
 persino  stabilendo  il  numero   dei   componenti   dell'organo   di
 amministrazione,  le  titolarita'  dei poteri di nomina e le relative
 procedure (dell'illegittimita' del  diretto  potere  ministeriale  di
 nomina si e' gia' detto).
    Per   il   collegio  dei  revisori  addirittura  la  nomina  e'  a
 maggioranza statale.
    Per il direttore generale, si  prescrive  che  esso  sia  nominato
 dalla   regione   della  sede  legale  "d'intesa  con  la  conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome",  che  non  si  vede  in  assoluto come possa entrare nella
 questione.
    Le regioni adottano le "restanti" norme organizzative  (oltretutto
 nell'ambito  degli  indirizzi ministeriali sui "criteri organizzativi
 uniformi",  sulla  cui  specifica  illegittimita'  ci  si   e'   gia'
 soffermati):  ma e' evidente che la potesta' legislativa regionale in
 materia di organizzazione degli istituti e' qui  diventata  non  piu'
 concorrente, nell'ambito di principi ma meramente integrativa.
    Trattandosi  di materia pacificamente regionale, secondo le stesse
 definizioni del d.P.R. n. 616/1977 (in  particolare  art.  27,  primo
 comma, lettera l, e art. 66), non puo' essere dubbio che la riduzione
 della potesta' legislativa regionale a potesta' meramente integrativa
 viola direttamente l'art. 177, primo comma, della Costituzione.
    Della  palese  violazione  anche della legge di delega si e' detto
 piu' volte.
    Con  cio'  non  si vuol sostenere che il "riordino" previsto dalla
 legge di delega  non  avrebbe  potuto  comportare  la  fissazione  di
 principi  orientativi per la legislazione regionale: al contrario, si
 afferma che si sarebbe dovuto trattare di principi orientativi  della
 potesta'  legislativa,  non  della pura e semplice sostituzione della
 legislazione regionale con quella statale.
    Non dissimili motivi di illegittimita' colpiscono l'art. 1, quinto
 comma, nella parte in cui prevede che il Ministro della  sanita'  con
 proprio  regolamento,  (d'intesa  con  la  conferenza  Stato-regioni)
 "coordina i compiti degli istituti con quelli previsti dalla legge 23
 giugno 1970, n. 503, modificata dalla legge 11 marzo 1974, n. 101,  e
 dalla legge 23 dicembre 1975, n. 745".
    Corrispondentemente,  risultano  illegittime anche la disposizione
 dell'art.  1,  quarto  comma,  in  quanto  non  prevede  la  potesta'
 regionale  di  precisare  ed integrare i compiti degli istituti, e la
 norma abrogatrice dell'art. 10, in quanto essa abroga, con  l'art.  4
 della  legge  23  dicembre  1975,  n.  745,  la  potesta' legislativa
 regionale di determinare o precisare i compiti degli istituti.
    Viola  infatti  direttamente  l'art.  117,   primo   comma   della
 Costituzione  (oltre che i principi della legge di delega) la pretesa
 di sostituire alla potesta'  legislativa  regionale  (da  esercitarsi
 nell'ambito   di   principi  legislativi  statali)  un  "regolamento"
 ministeriale (che oltretutto non si sa come dovrebbe "coordinare"  le
 disposizioni di quattro atti con forza di legge).
    Specifici  motivi  di  illegittimita'  colpiscono  anche l'art. 6,
 dedicato al finanziamento degli istituti.
    A  parte  infatti  la  considerazione  che  la  legge  di   delega
 specificamente  disponeva  che  le  norme  di  riordino  "non  devono
 comportare oneri a carico dello Stato", non si vede come  il  decreto
 delegato,  in  assenza  (ed anzi in violazione) di principi di delega
 possa disporre del Fondo sanitario nazionale.
    E' noto infatti che dopo il decreto  legislativo  n.  502/1992  il
 fondo  nazionale,  disciplinato  dall'art.  12  di  detto decreto, e'
 ripartito tra le regioni, al netto soltanto della quota  pari  all'1%
 del fondo stesso, assegnato al Ministero.
    Ora,  essendo chiaro che la disposizione dell'art. 6, primo comma,
 lett. a), quando parla  del  "Fondo"  non  si  riferisce  alla  quota
 ministeriale  (che  viene  in considerazione semmai alla lett. b), ne
 risulta che in pratica il decreto qui  impugnato  dispone  di  quella
 parte  del  fondo  sanitario  che la legge impone di ripartire tra le
 regioni.
    Ne deriva una lesione della  autonomia  finanziaria  regionale,  e
 percio'  dello  stesso  art.  119  della Costituzione, in quanto cio'
 avviene in assenza di una volonta' delegante in tale senso,  ed  anzi
 contro la disposizione, essa si' certamente di principio, del decreto
 legislativo   n.   502/1992  relativa  alla  destinazione  del  fondo
 sanitario.
    E' ovvio invece che le  regioni  dovranno  pur  sempre,  come  nel
 sistema  previgente,  far  fronte  alle  esigenze  finanziarie  degli
 istituti:  ma  cio'  deve  avvenire  all'interno   dei   bilanci,   e
 nell'ambito  delle  autonome  decisioni regionali e non attraverso un
 preventivo impoverimento del fondo sanitario regionale.
    Tutto cio' premesso, la ricorrente  Regione  Emilia-Romagna,  come
 sopra rappresentata e difesa.